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Recensione: La tela di Penelope, di M. Atwood

E’ un testo teatrale, in realtà mai messo in scena, ma strutturato – e con cognizione di causa – come una tragedia greca.Penelope, dall’Ade, racconta la sua versione dei fatti: il suo matrimonio con Odisseo, la guerra di Troia, la rivalità con la cugina Elena, l’attesa e l’occupazione di casa sua da parte dei Proci. In particolare, la sua attenzione è rivolta ad un episodio, un episodio narrato nel XXIII libro dell’Odissea. Ulisse, tornato a casa, dà ordine di giustiziare 12 ancelle accusate di “essersi fatte stuprare”.Quello che la Atwood spiega magistralmente in questo libretto di pochissime pagine, è che l’accusa, nel mondo greco, era reale. Quando il padrone di casa aveva ospiti, non era raro che questi chiedessero “favori particolari” alle ancelle. Queste, però, non avevano il permesso di soddisfarli se non con il benestare del loro padrone. E fin qui, niente di troppo strano, in fondo in fondo. Il problema nasce perchè gli ospiti mica se ne stavano, dell’eventuale no delle ancelle. E in linea di massima, le violentavano comunque. Se il padrone lo veniva a sapere – e non era difficile, visto che novantanove su cento le ancelle rimanevano incinte – le colpevoli erano loro, e loro venivano punite, spesso direttamente impiccate. Ma la sepoltura era onorevole, eh, perchè gli dei perdonassero il loro peccato (no, il peccato non era essere andate a letto con forestieri, ma aver disubbito al loro padrone). Erano gentiluomini, orsù, il perdono non si nega a nessuno. Da morto. La trama, dicevo, si svolge tutta intorno a queste 12 ancelle impiccate da Telemaco al ritorno del padre: Penelope se ne rammarica, perchè, dice, proprio lei ha voluto che le ancelle tenessero occupate i Proci e le riportassero nuove informazioni. Il monologo è intervallato da scene corali, in cui le ancelle, in un registro linguistico nettamente più basso a quello usato da Penelope, cantano le disgrazie del popolo, della gente comune. A volte sono le loro stesse voci, a volte i marinai di Ulisse, sacrificati per avere mangiato buoi sacri, altre ancora le anime di quelli che sono morti per la bellezza di Elena. Uno spettacolo alla Dario Fo, insomma. Il femminismo si interseca ad analisi antropo-psicologiche, a vere e proprie lezioni di storia greca, alla ricerca di miti rari, ad uno sguardo disinicantato verso la realtà quotidiana, così diversa – forse – dalla realtà greca. Ma forse no, eh.